In Spagna, il ministro del Bilancio, Cristobal Montoro, ha annunciato che il governo si prepara a rivedere alcune forme di imposizione fiscale, nel tentativo di aumentare un gettito complessivo che sta letteralmente sbriciolandosi, mese dopo mese, a causa della profondità della crisi. Perché, dopo tutto, anche ottenere continui rinvii nel percorso verso l’equilibrio di finanza pubblica, che per la Spagna appare sempre più un miraggio, richiede anche l’adozione di misure fiscali compensative, in un estenuante processo negoziale con Bruxelles. I guai della Spagna (un paese che si trova inequivocabilmente in condizioni nettamente peggiori dell’Italia), sembrano non aver mai fine, malgrado il rally del debito sovrano di Madrid, spinto dalla forte liquidità internazionale e dalla apparente volontà condivisa in sede europea (Berlino inclusa) di allentare il cappio dell’austerità. Ma ancora, una volta, ci troviamo in un caso eclatante di fuoco sotto la liquidità.
Dal suo arrivo al potere, Mariano Rajoy ha bloccato le assunzioni nel settore pubblico, cancellato le mensilità aggiuntive dei pubblici dipendenti, limato i trattamenti di disoccupazione, reso più semplici i licenziamenti, messo all’incirca sotto controllo i conti delle autonomie regionali. Ora sarebbe intenzione dell’esecutivo avviare una “fase B” di stimolo alla crescita, attraverso sussidi alle startup ed interventi sulla formazione e riqualificazione professionale, oltre che tentando di ridurre la fiscalità sulle piccole e medie imprese. Naturalmente, per tutti questi interventi serve uno straccio di copertura finanziaria, che si sommi ad un rapporto deficit-Pil incoercibile, a causa della gravità della crisi. E qui iniziano i problemi.
Intanto, il governo spagnolo ritiene che non sia più possibile procedere a tagli di spesa, e che osso e tendini siano ormai ampiamente stati incisi. Non sappiamo se le cose stiano effettivamente in questi termini visto che, al 31 dicembre 2012, la spesa pubblica spagnola pesava sul Pil per il 47 per cento, a fronte di una pressione fiscale di solo il 36 per cento, sulla cui esiguità pesa verosimilmente una struttura dei tributi che resta sbilanciata sulle imposte immobiliari, il cui gettito si è inaridito dopo lo scoppio della bolla. Motivo per cui, ora, il governo di Madrid dovrà procedere al reperimento di risorse per via di aumenti di imposta, circostanza che stringerà ulteriormente il cappio intorno al collo del paese.
Subito dopo l’insediamento alla Moncloa, Rajoy ha aumentato le imposte dirette, promettendo la natura strettamente “temporanea” dell’intervento. L’aliquota massima Irpef, su redditi eccedenti i 300.000 euro, ad esempio, è stata portata dal 45 al 52 per cento, ma inasprimenti d’imposta hanno colpito tutti gli scaglioni di reddito. La misura doveva terminare il prossimo anno, ma il governo di Madrid ha già annunciato che le cose andranno diversamente. Nel frattempo, il gettito da imposte dirette non ha fatto che calare, soprattutto quello sulle imprese, sia per effetto della crisi che dell’entrata in vigore di un sistema di crediti d’imposta per le PMI. Il gettito totale è rimasto stabile solo grazie all’aumento delle imposte indirette, con l’aliquota Iva ordinaria passata dal 18 al 21 per cento e, soprattutto, con lo spostamento di alcuni beni e servizi dalle aliquote agevolate del 4 e 10 per cento verso quella ordinaria.
Come detto, il ministro Montoro ha annunciato la scorsa settimana che il governo andrà avanti sulla strada dell’aumento della pressione fiscale, introducendo una imposta sui depositi bancari ed inasprendo la tassazione da accise su alcolici e tabacco, oltre ad introdurre una nuova tassa “verde”, come il colore della miseria che ormai ghermisce gli spagnoli.
Come andrà a finire, è sin troppo facile da prevedere: il paese sta inesorabilmente affondando, incravattato da una crisi bancaria che è lungi dall’essere terminata, e che sta per portare al pettine i nodi dei prestiti ristrutturati e delle crescenti tensioni sociali relative alle insolvenze sui mutui. Riguardo il primo aspetto, la banca centrale spagnola nei giorni scorsi ha ordinato alle banche di aumentare gli accantonamenti per crediti ristrutturati, perché spesso dietro queste ristrutturazioni si cela semplicemente il tentativo di non contabilizzare la relativa sofferenza del credito. Le banche spagnole hanno un portafoglio di crediti rifinanziati e ristrutturati la cui consistenza è di 208 miliardi, e dovranno procedere ad accantonamenti aggiuntivi per 10 miliardi di euro. Un intervento neppure troppo drastico, ma che in alcuni casi farà emergere la necessità di ricapitalizzare le banche più fragili, e di ampliare il ruolo di Sareb, la bad bank creata per ripulire i bilanci delle banche dalle sofferenze. Ma, come sapete se leggete questo sito, le bad bank servono a molto poco, durante crisi particolarmente virulente come l’attuale.
Dal versante dei mutui, le banche spagnole sono sotto il tiro del legislatore locale: i governi regionali di Andalusia e Canarie stanno pianificando di espropriarle degli immobili sottratti ai mutuatari insolventi, per ospitare le famiglie in condizioni più bisognose. In Andalusia la requisizione avrebbe durata triennale e le banche sarebbero indennizzate con un canone annuo pari al 2 per cento del valore dell’immobile. Il governo regionale potrà inoltre imporre multe sino a 9.000 euro sugli immobili rimasti sfitti per più di sei mesi. L’Unione europea ha già chiesto al governo spagnolo chiarimenti sulla misura della requisizione, che potrebbe causare un aggravamento della stretta creditizia, oltre che violare gli accordi alla base della concessione del prestito al sistema bancario spagnolo da parte del fondo europeo ESM. Riguardo le prevedibili dinamiche dei prezzi immobiliari, basti pensare che la bad bank Sareb punta a vendere entro cinque anni circa la metà dei 90.000 immobili acquisiti dalle banche, ricavandone pure un utile. Auguri.
In sintesi, quindi: la Spagna ha in corso una crisi economica e bancaria senza precedenti, peraltro lungi dall’avere imboccato un percorso di risoluzione. Il settore immobiliare continuerà a premere sui bilanci delle banche, che presto o tardi dovranno assoggettarsi a nuove ricapitalizzazioni, con tutta probabilità attraverso nuove erogazioni europee, che andranno direttamente a gravare sul rapporto debito-Pil del paese. Le tensioni sociali sono in costante aumento, al punto (come visto) di condurre a scelte legislative locali tali da aggravare la crisi bancaria ed immobiliare, oltre a destabilizzare la bad bank faticosamente messa in piedi per risolvere il problema. Sembra sempre più probabile che molte banche spagnole dovranno abbattere il valore delle proprie passività per reggere il passo dello sbriciolamento del valore degli attivi. Gli obbligazionisti bancari (anche quelli senior) sono avvertiti, i depositanti farebbero meglio a non ritenersi al riparo dalla tempesta.
Il paese ha poi un drammatico deficit di capacità fiscale, testimoniato dall’esiguo livello di pressione fiscale rispetto alla media comunitaria. Aumentare la tassazione nel tentativo di porre sotto controllo un deficit pubblico ingovernabile non potrà che avvitare la crisi su se stessa. Dato questo desolante quadro, se vi state chiedendo come è possibile che il debito sovrano spagnolo abbia portato a casa un impressionante rally, sappiate che non siete soli a porvi il quesito. Ma questa è la Spagna, il paese che era messo meglio dell’Italia, ricordate? Ma anche no.