Oggi sul Corriere, Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina mettono in luce la situazione piuttosto surreale in cui si trova il nostro paese, che paga un eccesso di virtù fiscale, e propongono una “soluzione” che difficilmente sarà tale. Ma sono cose che dovreste già conoscere.
Nelle prossime settimane il nostro paese uscirà dalla procedura europea per deficit eccessivo, essendo riuscito a mantenersi entro la soglia del 3 per cento del rapporto deficit-Pil. Siamo stati bravi ma che premio avremo, a parte la medaglietta di tolla di Rehn e Barroso? Di questa incoerenza nel sistema di premi e punizioni si accorgono alla fine anche Alesina e Giavazzi:
«Nella migliore delle ipotesi saremo di un soffio sotto la soglia del 3% e ciò non consentirà di ridurre le imposte. In questa situazione occorre chiedersi se ci convenga impegnarci al 3% quest’anno, visto che, a parte una questione di orgoglio, non ne guadagneremmo sostanzialmente nulla. Non si riduce la disoccupazione con l’orgoglio»
Quando si vive in una unione monetaria i cui incentivi sono del tutto disfunzionali, capita anche questo. E quindi, che fare? Alesina e Giavazzi hanno un’idea, neppure questa particolarmente originale:
«Il governo potrebbe considerare una strategia alternativa che avrebbe anche il vantaggio di farlo dall’angolo in cui pressioni contrapposte lo stanno schiacciando. Proporre all’Ue un piano di riduzione immediata delle imposte: I’Imu, ma soprattutto le imposte sul lavoro. Diciamo per un ammontare dell’ordine di 50 miliardi che abbasserebbe la pressione fiscale di circa tre punti, contribuendo alla ripresa dell’economia. Contemporaneamente adottare un piano di riduzione graduale ma permanente delle spese: un punto di Pil di tagli all’anno per tre anni. Qualunque recupero di evasione dovrebbe essere usato per ridurre le aliquote dei contribuenti onesti. Il deficit rimarrebbe superiore al 3% ancora per due anni e rientrerebbe solo fra tre. Come la Francia. La Commissione non chiuderebbe la procedura di sorveglianza: dovrebbe approvare il piano e verificarne l’effettiva attuazione. Insomma, saremmo noi a scegliere il piano e Bruxelles a fare da «guardiano». È una strada praticabile? Dipende dalla credibilità dei tagli»
Appunto, dipende dalla credibilità di quei tagli. Questa è la rimasticatura della proposta del capo economista del Fmi, Olivier Blanchard, di qualche giorno addietro. Simili concetti erano stati espressi, mesi addietro, anche da Alessandro Penati. Su simili proposte pende tuttavia una enorme incognita: la credibilità del governo proponente. Il rischio resta quello della inconsistenza temporale delle scelte di policy, concetto illustrato in modo molto efficace e comprensibile anche ai non specialisti in questo post di Greg Mankiw.
Ora, a voi pare realistico pensare che la Ue (e Berlino) accetterebbero una simile proposta, venendo da un paese che sta rapidamente scendendo agli inferi del caos politico, con tutto quello che ne consegue in termini di credibilità di ogni futuro impegno? A noi no, purtroppo. Ma voi dovreste saperlo da qualche settimana. A volte, gli umili blogger arrivano prima degli ipse dixit delle grandi firme.
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