Lo scorso 11 aprile, sul Sole, è comparso un editoriale di Tancredi Bianchi (classe 1925, professore emerito della Bocconi, storico decano dei docenti di economia delle aziende di credito) e Marina Brogi, ordinario di International Banking and Capital Markets alla Sapienza. In esso, si suggerisce al Tesoro italiano l’ennesima levata d’ingegno per ridurre il rapporto debito-Pil. Il risultato è sconsolante per l’ampiezza degli errori finanziari, logici e politici contenuti nella proposta.
La premessa:
«Una diversa politica di collocamento del debito pubblico potrebbe (…) concorrere a migliorarne più rapidamente lo stock e trarre vantaggio dall’attuale livello dei tassi di interesse, prima che comincino a risalire»
Interessante, e come? Secondo i due accademici, emettendo titoli di stato con cedolone, cioè molto sopra il livello di rendimento richiesto dal mercato per una determinata scadenza:
«La politica delle nuove emissioni di titoli del debito pubblico può mirare, come avviene attualmente, a collocare i valori al nominale con cedola annuale e, grosso modo, corrispondente ai rendimenti correnti per durate analoghe oppure, in alternativa, potrebbe porre in asta titoli con una cedola già fissata, superiore ai rendimenti di mercato, volta a perseguire un collocamento in asta superiore al valore nominale di rimborso a scadenza. In questa seconda alternativa, per esempio, proponendo un titolo ventennale con cedola annuale al 6%, essendo il rendimento di mercato per pari durata, circa al 3%, si potrebbe incassare 150 per 100 di rimborso a maturazione»
Confesso che, quando ho letto la “proposta”, stavo cadendo dalla sedia. Visto che le alternative sono identiche, sul piano della matematica finanziaria, che guadagno ci sarebbe, al di là dell’effetto ottico che presume di ingannare i mercati e le autorità europee?
Qui c’è un evidente trade-off tra spesa per interessi e stock debito-Pil, e fortunatamente i due studiosi ne sono consapevoli. Nel senso che, emettendo titoli di stato con maxi-cedola, si avrebbe la vaporizzazione dell’avanzo primario, a causa della maggiore spesa per interessi. Cosa rispondono i due proponenti?
«Se anche ci fossero delle voci contrarie a Bruxelles, si potrebbe controbattere che la soluzione prospettata, oltre a consentire di abbattere rapidamente il rapporto debito/Pii, al tempo stesso stimola più efficacemente l’amministrazione pubblica a una politica di bilancio di buon governo»
Certo, certo: per evitare di sforare i parametri europei, i governi italiani si metterebbero a tagliare la spesa corrente diversa dagli interessi, giusto? Interessante esperimento di “buon governo” e di disciplina imposta, diciamo (questa è ironica, mi raccomando).
Quello che però ai due studiosi è sfuggito è che, se obiettivo è quello di agire per ridurre il rapporto di indebitamento “prima che i tassi salgano”, farlo alzando le cedole produce esattamente l’effetto che si cerca di evitare. Il perché è presto detto, e lo ha spiegato in modo impeccabile Carlo Cottarelli, in una replica comparsa oggi sul Sole. Il concetto da tener presente è quello di duration, o durata media finanziaria, del debito pubblico.
Tale durata è funzione della scadenza formale del titolo (maturity) e della cedola, nel senso che, a parità di scadenza del titolo, l’aumento della cedola riduce la durata media finanziaria. Questo a sua volta aumenta la sensitività dello stock di debito al rialzo dei tassi d’interesse, cioè produce esattamente l’effetto opposto a quello desiderato. Per pagare i maggiori interessi si devono cioè emettere nuovi titoli di stato, e questo avverrebbe a rendimenti di mercato crescenti.
Se vuoi ridurre la sensitività del rapporto debito-Pil ai tassi di mercato devi aumentare la duration, non ridurla, come invece accadrebbe gonfiando la cedola. Per mantenere invariata la duration media dello stock di debito, occorre compensare la cedolona aumentando la scadenza formale del titolo. Cioè, ad esempio, emettere un cinquantennale in luogo di un trentennale, e così via. Ma a quel punto, sul rendimento di assegnazione peserebbe il cosiddetto premio al rischio, cioè quello che gli investitori chiedono per compensare un così elevato orizzonte temporale dell’investimento. E si tornerebbe al via, nel senso che la cedolona si gonfierebbe ulteriormente.
C’è poi l’aspetto formale, quello delle regole del gioco, segnalato da Cottarelli:
«L’unico vantaggio del titolo a cedola elevata è di natura puramente contabile e dipende dal fatto che, nei criteri di contabilizzazione del debito rilevanti per il rispetto delle regole fiscali europee, il debito viene contabilizzato al valore facciale e quindi a quanto verrà rimborsato fra vent’anni e non a quanto incassato al momento dell’emissione. Questo in base alla Council Regulation (EC) 479/2009. Si noti, invece, che nel sistema dei conti economici europei (ESA2010) il debito viene contabilizzato al prezzo di mercato (il prezzo di emissione nell’esempio sopra citato). Il vantaggio è quindi quello di far apparire il debito più basso di quello che è realmente (nel senso di farlo apparire più basso di quello che, in termini di cassa, si è effettivamente preso a prestito e incassato al momento dell’emissione)»
Tradotto: la proposta punta a fare apparire inferiore il rapporto debito-Pil solo ricorrendo al discutibile criterio di misurare il medesimo a valore facciale, e non a prezzo di mercato. Perché il mondo è notoriamente popolato da fessi, soprattutto operanti sui mercati. Nella sua analisi critica, Cottarelli sostiene inoltre che si produrrebbero effetti opposti a quelli della stretta alla spesa corrente per recuperare il maggior esborso per interessi, a causa del falso senso di sicurezza derivante dal ridotto rapporto debito-Pil.
Prosegue quindi la serie di proposte “rivoluzionarie” per liberarsi dalla nebbia in Val Padana spianando il Turchino. Sono sempre più convinto che si tratti del termometro della febbre italiana, ormai talmente alta da produrre effetti di distacco dalla realtà. In senso clinico, delirio.