Pare che ce l’abbiamo fatta, e che stavolta il governo si farà. Un sollievo, dopo quasi tre mesi di bizantinismi, machiavellismi da osteria, psicodrammi personali, accattonaggio politico e non solo, tentativi di trattare forme problematiche di senilità e, su tutto, disperate ricerche di alibi. Avremo quindi un governo sovranista, impegnato a “migliorare la qualità della vita degli italiani”, come si direbbe di cure palliative.
Un vero peccato che, per arrivare sin qui, si sia dovuto sgamare un audace piano per uscire dall’euro durante un weekend e subire una fase di panico di mercato come non se ne vedeva dal 2011, che lascerà permanenti tracce e cicatrici, in attesa della prossima emorragia.
Il nome più interessante del nuovo esecutivo, quello che sarà seguito con attenzione prossima al disturbo mentale, è quello del professor Giovanni Tria, ordinario di Economia politica a Roma Tor Vergata, scelto per la sua apparente vicinanza a tesi eurocritiche ma da sempre dotato di equilibrio e senso comune nelle analisi, come ricorda chi, come me, lo ha seguito per lunghi anni negli editoriali del Foglio scritti a quattro mani col professor Ernesto Felli.
Per chi, da ieri sera, compulsa freneticamente questo post, scritto da Tria solo due settimane addietro, vediamo di offrire una lettura ragionata dei suoi probabili orientamenti. Sul Contratto di governo, Tria ha già detto che servirà valutare le coperture possibili, tra le quali figura anche il deficit. Questo è il passaggio più interessante:
«Con tutto il rispetto per le competenze riunite intorno al tavolo politico delle trattative, poi, le norme attuative dei propositi si dovranno scrivere con le competenze istituzionali in grado di misurare effetti di bilancio e coerenze legislative di sistema. E in genere la realtà delle cifre ridimensiona spesso la visione. Il secondo è che fino ad oggi non è emerso un accordo chiaro su quali siano i paletti di bilancio che si vorranno rispettare. In altri termini, se le compatibilità di bilancio del programma dipenderanno da un improbabile mutamento delle regole europee (abbiamo già avuto un governo che è partito con il proposito di battere i pugni sul tavolo a Bruxelles) o se queste regole saranno forzate»
Che dirà il ministro del Tesoro rispetto all’economista accademico, quando si giungerà al dunque? Forziamo o stiamo nei paletti? Se credere di andare a battere i pugni sul tavolo a Bruxelles è futile (oltre che ormai stucchevole, aggiungo io), che fare? Tria dovrà rispondere, al momento opportuno, ma qualche idea sulla “cornice” pare già averla, come vedremo tra poco.
Riguardo alle grandi voci di spesa del Contratto, Tria pare avere idee chiare. Sul reddito di cittadinanza, il professore lo vede come una sorta di disoccupazione “un poco rafforzata”, anziché come “un provvedimento, improbabile, tale da configurare una società in cui una parte della popolazione produce e l’altra consuma”. Che, se vogliamo dirla tutta, è un modo assai elegante per identificare degli aspiranti parassiti.
Ma è la flat tax che esercita su Tria la maggiore fascinazione intellettuale. Non servirebbe tanto ad aumentare la domanda aggregata quanto il rendimento dei fattori produttivi (capitale e lavoro) e quindi degli investimenti, secondo il professore, che invita a cautela ed eventualmente a gradualità nella fissazione delle aliquote iniziali, per non creare buchi di gettito. Noi confidiamo che Tria potrà fornire un grande apporto nel disegno razionale della nuova curva Irpef, soprattutto in termini di aliquote marginali effettive.
Ma ancor più interessante è il fatto che l’accademico si schieri decisamente, in ciò coerente con i precetti internazionali, con lo scambio tra meno imposte dirette e più indirette:
«Inoltre, non si vede perché non si debba far scattare le clausole di salvaguardia di aumento dell’IVA per finanziare parte consistente dell’operazione»
Concetto specificato ancor meglio in seguito:
«[…] impedire l’aumento dell’Iva recuperando risorse da un’altra parte, con tagli di spesa o aumenti di altre tasse, non muta di certo il presunto effetto recessivo»
Che poi è il classico pensiero post-keynesiano da moltiplicatori elevati, sempre e comunque. Ma forse a Tria è sfuggito che l’aumento Iva servirebbe a mantenere impegni di bilancio, non ad essere speso a copertura di tagli di altre imposte. A parte questi dettagli, quindi:
«[…] ritengo che in Italia si debba riequilibrare il peso relativo delle imposte dirette e di quelle indirette spostando gettito dalle prime alle seconde. Si tratta di una scelta di policy sostenuta da molto tempo anche dalle raccomandazioni europee e dell’Ocse perché favorevole alla crescita e non si capisce perché non si possa approfittare dell’introduzione di un sistema di flat tax per attuare un’operazione vantaggiosa nel suo complesso»
Molto interessante. Tria di certo avrà modo di esprimersi anche sull’annosa questione dell’Italia primatista europea di evasione Iva, e di proporre correttivi per recuperare gettito, in luogo di partire subito con aumenti di aliquote. Ed anche uno studio sugli effetti redistributivi di maggiori imposte indirette contro minori imposte dirette con beneficio concentrato sui redditi elevati sarà una grande occasione per fornire nuovo cibo per il pensiero.
Meritorio e condivisibile, poi, non tanto il richiamo alla “politica industriale” (che in Italia ricorda subito un ibrido tra l’URSS ed il Venezuela), quanto
«[…] sul sistema di controlli giudiziari e para-giudiziari che assieme al codice degli appalti stanno paralizzando ogni velleità di attivazione degli investimenti pubblici, pur da tutti auspicati»
Per quanto riguarda invece gli orientamenti generali, Tria è euroscettico nel senso che non pensa che l’euro sia “irreversibile”, per dirla con Mario Draghi, ma che sia a costante rischio di implosione, e che serva quindi “collaborazione” tra paesi per riparare le debolezze strutturali dell’edificio europeo. Si, ma come? E se risultassimo isolati, che accadrebbe? Uscire da soli “costa troppo”, dice Tria, che pare essere tra quanti accarezzano la bislacca idea di una uscita unilaterale tedesca, che produrrebbe gli stessi identici effetti di una uscita unilaterale italiana, un minuto dopo l’annuncio. Ecco, qui Tria e non solo lui avranno da elaborare, e non poco.
Per chiudere, volete la mia, di sintesi? Forse sì, se avete letto sin qui. E allora, eccola:
- I nostri eroi sono dei tossici del deficit, che cercheranno di ottenere con ogni mezzo;
- Se non riusciranno ad ottenere tutto l’extra deficit richiesto, e se il ministro dell’Economia non li indurrà a più miti consigli, saranno investitori e risparmiatori di tutto il mondo a spiegare ai gialloverdi come funziona il gioco;
- In Europa, su queste premesse, non vedo quali sponde ed alleanze potremo forgiare ma sarò lieto di fare ammenda, se avvenisse;
- A parte ciò, attenzione ché i cicli economici si invertono, ed arrivare all’inversione con elevato debito e credendo che il deficit si ripaghi con mirabolanti moltiplicatori è la base per arrivare ad abbattere il debito mediante default.
Nel frattempo, possiamo sempre rallegrarci perché non è vero che la mobilità sociale in questo paese è morta. Unico problema, è che si tratta della forma peggiore:
Di Maio ha finalmente un lavoro vero, al ministero del Lavoro + Welfare. La sceneggiatura de "L'ascensore sociale più pazzo del mondo"
— Mario Seminerio (@Phastidio) June 1, 2018