I buffi del Conte del Grillo

Parlando alle Camere per illustrare la posizione italiana alla vigilia di un Consiglio europeo (oggi e domani) che si terrà sull’orlo di una crisi di nervi, il prestanome del Consiglio, Giuseppe Conte, ha messo numerosi puntini sulle i ed altrettanti trattini sulle t per identificare le linee rosse italiane. In particolare, sulla riforma dell’Eurozona. Una ghiotta occasione per comprendere la psicologia degli italiani in Europa: qualcosa a metà tra Cassa del Mezzogiorno e Marchese del Grillo.

Prendete ad esempio il no italiano ad un Fondo Monetario europeo che preveda la ristrutturazione automatica o semi-automatica del debito pubblico del paese che chieda assistenza alla Ue. Nelle parole di Conte, no al FME perché lo stesso finirebbe a

«[…] costringere alcuni paesi verso percorsi di ristrutturazione predefiniti, con sostanziale esautorazione del potere di elaborare, in autonomia, politiche economiche efficaci»

A lume di logica, se un paese riuscisse a realizzare “politiche economiche efficaci”, non servirebbe alcun intervento di sostegno e commissariamento esterno, diremmo. Ma è molto interessante, questa orgogliosa rivendicazione di “elaborare” nuove politiche economiche, quanto di più sovrano potremmo auspicare di vedere in giro. Conte ha poi cesellato meglio il proprio pensiero:

«Non vogliamo un Fondo Monetario Europeo che, lungi dall’operare con finalità perequative, finisca per costringere alcuni paesi verso percorsi di ristrutturazione predefiniti»

Notate nulla? Ma sì, non è difficile. Quella espressione, “finalità perequative”, che sembra uscita dalla penna d’oca di un burocrate con mezze maniche e visiera, mentre fa tardi la sera pestando sulla rumorosa calcolatrice meccanica, per verificare le spese di cancelleria. Serve “la perequazione”, signori: cioè sussidi che fluiscano liberamente verso l’Italia, dove un governo orgogliosamente sovrano elabora le sue ricette di politica economica. Ma quali condizionalità! Quelle sono anti-sovrane per definizione. Assisteteci, o facciamo sovrano casino. La Cassa del Mezzogiorno è viva e lotta in Europa assieme a noi.

Inutile entrare nel dettaglio del cosiddetto manifesto di Moseberg, che pare nato già morto, stante la crisi profonda della leadership di Angela Merkel. Unica cosa da segnalare è che la ristrutturazione del debito pubblico, cioè il suo taglio a mezzo di riprofilazione delle scadenze, avverrebbe solo in caso di insostenibilità del debito medesimo, non sempre e comunque.

Una cosa che molti in Italia non riescono proprio a farsi entrare nella testa è che per aversi “solidarietà” serve prima cedere sovranità fiscale in modo sostanziale. Ciò può avvenire in conseguenza di un nuovo trattato europeo, cioè ex ante, nel processo di redazione della legge di bilancio annuale, quando siamo in condizioni di fisiologia, cioè quando un paese riesce a piazzare il proprio debito; oppure ex post, in condizioni di patologia, anche in assenza di riscrittura dei trattati, quando un paese perde l’accesso al mercato dei capitali. Poiché la prima strada di riforma è preclusa, è fatale che si arrivi alla seconda.

Se agli italiani non sta bene, e se la loro richiesta è solo quella di avere soldi dalla Ue per fare spesa domestica senza controlli, sono destinati ad avere un risveglio molto ruvido. Interessante, tra le prime reazioni alle considerazioni di Conte, quella di Stefano Fassina, il sovranista di sinistra; che, plaudendo a Conte, ha commentato:

«L’Italia non può acconsentire a modifiche del Fondo Europeo di Stabilità che aprono lo scenario della ristrutturazione dei debiti pubblici e zavorrano la capacità di credito delle banche dei Paesi più esposti sul fronte del debito pubblico»

Quindi, leggete bene anche qui: se per avere la famosa “condivisione dei rischi” serve mettere un limite alla concentrazione di titoli di stato domestici nel portafoglio delle banche, noi italiani diciamo niet (essendo tifosi di Putin, s’intende), perché avere le banche piene di titoli di stato è un toccasana per la “capacità di credito” delle banche: parola di Fassina. E dunque, vogliamo la “condivisione dei rischi”, che per noi significa che facciamo un po’ come caxxo ci pare ma dovete darci i soldi, perdio. Perché siamo sovrani.

In questa posizione, che è un po’ quella dell’orgoglio con le pezze al culo di chi si trova indebitato sino al collo e non riesce a respirare, arriva anche (buon ultimo), il marziale ministro delle Politiche europee, Paolo Savona, che sempre ieri ha reiterato che, in Bce,

«Draghi ha fatto un ottimo lavoro, nei limiti del suo mandato, ma lo statuto della Bce deve essere adeguato, negli obiettivi e negli strumenti assegnati, a quelli di cui dispongono le principali banche centrali»

Che tradotto vuol dire: la Bce come la Fed, col doppio mandato di stabilità dei prezzi compatibile con la massima occupazione. Premesso che nel mondo reale esistono molte banche centrali il cui mandato è la sola stabilità dei prezzi, per fare della Bce la nuova Fed serve evolvere verso una struttura federale della Ue, che al momento appare un miraggio, per usare un blando eufemismo. Anche qui, dire quello che andrebbe fatto, senza considerare la realtà e gli altri pare essere l’unica forma mentis degli italiani.

Una forma mentis molto keynesiana, peraltro, perché ritiene che solo stimoli monetari e fiscali (quindi gestione della domanda) servano per fare crescere l’economia, disinteressandosi dei processi dal lato dell’offerta. Quello che è realmente pericoloso, in questo modo di argomentare degli italiani, è l’incapacità di arrivare a ipotesi di mediazione. Noi siamo noi, e voi nun siete un cazzo. Che di solito lo puoi dire quando non hai debiti, pare. A Roma i debiti si chiamano buffi. Qui di buffo c’è ben poco, però.

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