Il ritorno al via degli scappati di casa

Sta accadendo qualcosa di assai bizzarro, in quel sequel della distopica serie tv Black Mirror chiamato Italia. Da un paio di giorni, gli esponenti della maggioranza hanno deciso che “non romperanno con la Ue” (e già la frase, pur se semplificazione giornalistica, è assai divertente), e presenteranno una nota di aggiornamento al Def ed una legge di stabilità “assennate”, “morigerate”, “educate”, o come diavolo vogliamo definire il rinvio della decisione di farsi esplodere in un bunker di cemento armato.

La reazione dei mercati è stata moderatamente positiva, con lieve restringimento di uno spread che ci pone comunque fuori dall’Europa sana di mente e di conti. Il presidente di Confindustria tira un sospirone di sollievo e promette di rinfoderare quella miccetta di conflittualità verso il governo che aveva ipotizzato di accendere nei giorni scorsi. La sindrome di Stoccolma resta sempre dietro l’angolo.

Che è accaduto, non è dato sapere. Sono certo che non vi interesseranno le mie ipotesi, che poi sono quelle di chiunque. Timore per un crack di mercato, interventi da “alto loco”, e quant’altro. Proviamo invece ad analizzare il contesto. In tre mesi di proclami rivoluzionari, Piani B a coda e sfoggi di ignoranza ed inconsapevolezza che sembrano essere stati pianificati a tavolino, tanto sono eclatanti, abbiamo avuto un’esplosione del rischio-paese, e siamo finiti tra gli osservati speciali del pianeta, oltre che tra le potenziali fonti di rischio sistemico e di contagio.

La tesi cara ai nostri sovranisti ed ai loro “intellettuali” ed “economisti” di riferimento è sempre stata quella di farsi accomodare dalla Ue sulla base di una prova di forza che ricorda molto i ricatti: “che bella economia che avete, signori della Ue: sarebbe un peccato se le accadesse qualcosa”. La realtà è che, ad oggi, il rischio italiano si è gonfiato mentre quello degli altri paesi dell’Eurozona, soprattutto dei periferici come gli iberici, è rimasto stabile o si è addirittura ridotto. Con buona pace delle interpretazioni secondo cui l’allargamento dello spread italiano sarebbe frutto avvelenato dei prossimo disimpegno della Bce. Invece no: è solo e soltanto puro rischio idiosincratico home made. Da proteggere con la denominazione di origine.

Oggi siamo tornati al punto di partenza, dopo un paio di giorni senza numeri certi ed anche con alcuni momenti di comicità vera, come le dichiarazioni di Luigi Di Maio sulle agenzie di rating che a volte possono avere interessi coincidenti con quelli degli italiani (sic). In realtà non abbiamo ripristinato lo status quo ante, perché nel frattempo abbiamo più che raddoppiato lo spread, che minaccia di trasmettersi al costo del credito mentre il rischio paese, misurato dallo spread sul tasso swap che gli emittenti italiani di obbligazioni devono sopportare è già decollato, causando peraltro una gelata al mercato delle nuove emissioni.

A parte ciò, ed anche ammettendo che i nostri eroi abbiano cambiato rotta (cosa a cui non credo affatto), a che punto siamo con gli assi portanti delle eclatanti “riforme” che dovrebbero darci moltiplicatori da velocità warp dell’astronave Enterprise? Presto detto.

Sul reddito di cittadinanza occorre prima capire se si vuole potenziare il reddito di inclusione, che è la via migliore e più razionale, oppure partire con una bella mancetta, che sarebbe per forza di cose piccola ed inutile, o ancora tentare di sfondare la spesa, per l’ennesima volta. Sulla riforma fiscale, che sarebbe ora di piantare di chiamare “flat tax” (lo dico per i nostri giornalisti, soprattutto), nulla è realmente definito, soprattutto considerando che Di Maio dice da sempre che deve “aiutare i meno abbienti”.

Se avessimo realmente un’aliquota unica e puntassimo ad effetti redistributivi, dovremmo avere qualcosa come il 35% e forse oltre, ed una deduzione di base di almeno 10 mila euro equivalenti. I numeri cari ai leghisti non produrranno effetti redistributivi verso i “poveri”, a meno di martellare la costruzione e renderla barocca in un modo deforme, con buona pace della “semplificazione” a cui si punterebbe.

Sull’altra misura-simbolo, il taglio delle cosiddette “pensioni d’oro”, è tutto bloccato. La proposta di legge dei due partiti di governo è uno scherzo, malgrado i soliti tentativi di manipolazione linguistica per far credere si tratti di altro. Il ricalcolo contributivo resta infattibile. L’ipotesi di ricorrere ad un contributo di solidarietà triennale, progressivo, che poi finanzierebbe altre spese sociali e non l’innalzamento delle minime, è indigeribile politicamente perché troppo montiano e forneriano.

L’ipotesi di condoni fiscali, eventualmente estesi ai comuni, poggia su stime di recupero che definire ottimistiche è un blando eufemismo, e non servirebbe a finanziare alcunché, essendo entrate una tantum. Anche qui, l’antico olezzo di muffa italiana per furbi è nauseante. Del resto, la base elettorale leghista, quella storica e “produttiva” del Nord, è sempre rimasta fedele a se stessa: un “mercatismo” fatto di sussidi pubblici ed evasione fiscale; perché cambiare proprio ora?

La sintesi è che, pur nella cornice di questo apparente rinsavimento, la maggioranza non è affatto uscita da quella condizione di autoinganno e negazione della realtà che l’ha condotta al potere. E con loro, i loro elettori. C’è altro? Si, certamente. A parte l’essere l’unico paese dell’Eurozona che ancora perde tempo in surreali dibattiti sull’uscita dall’euro, inclusi editoriali da cui fischiano proiettili d’argento, a furia di guardarci l’ombelico stiamo perdendo di vista i robusti e crescenti rischi esterni: una guerra commerciale promossa da Donald Trump, sia essa mirata all’Europa che frutto dello scontro con la Cina.

Nell’ipotesi di shock avverso esterno, quindi, avremmo un rallentamento dell’economia che si traslerebbe in un aumento spontaneo di deficit-Pil. Quindi l’Italia potrebbe anche finire a superare la soglia magica del 3% senza che questo implichi avere realmente soldi di extra deficit da spendere. Ecco perché occorre restare ancorati alla realtà, cosa che questa maggioranza, che si è formata dopo aver drogato pesantemente le aspettative di un elettorato credulo come pochi, non è in grado di fare, perché altrimenti farebbe la fine di un soufflé abortito. O di una rana di Fedro.

Se siete amanti di fiction e fantascenari, potreste pensare che obiettivo strategico dei legastellati sia quello di giungere alle elezioni europee e gustarsi l’ipotizzato trionfo dei partiti sovranisti e nazionalisti, con ovvie ricadute sulla prossima Commissione. Tutto molto bello, avrebbe detto Bruno Pizzul se non fosse che, da uno scenario del genere, l’Italia uscirebbe a pezzi, perché alla fine prevarrebbero le spinte nazionali e di segregazione del rischio ed avremmo un’Unione europea “orbanizzata” che non solo bloccherebbe i confini terrestri ma che andrebbe pure a serrare i cordoni della borsa, potenziando il cordone sanitario attorno al paese che, un giorno sì a l’altro pure, invoca la “solidarietà” europea minacciando altrimenti di suicidarsi. Sarebbe da ridere, se non fosse tragico.

Ma non pensiamoci, per ora: ci aspettano mesi impegnativi, con promesse vieppiù inturgidite e fatti sempre più avvizziti. Forse sventolare qualche cappio contro i “corrotti” o scatenare qualche opportuna “caccia al ne(g)ro” potranno fungere da metadone per il tossico popolo sovrano. Per ora. E tuttavia:

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