I censori del fatto compiuto

Ieri l’altro, a margine della presentazione di una iniziativa di housing sociale per la città di Milano, l’ormai ex presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, si è tolto un altro sassolino dalla scarpa, ricordando che il concetto di diversificazione di portafoglio non è un’ubbia ma una necessità. Un vero peccato che tutte queste importanti censure avvengano a tempo ampiamente scaduto.

Per Guzzetti, il caso Carige è

[…] un esempio clamoroso di come una fondazione non deve gestire un patrimonio, perché il 96-98 per cento del patrimonio della fondazione Carige era nella banca di riferimento […] è andata alla malora la banca ed è andata alla malora la Fondazione […] Chi ha amministrato la Fondazione invece di diversificare l’investimento lo ha concentrato lì.

Ineccepibile. Un vero peccato che la stalla sia stata chiusa (più che altro socchiusa) solo da pochissimi anni e a seguito dell’altra catastrofe nota col nome di MPS:

[…] per queste esperienze negative, nel protocollo che firmammo come Acri nel 2015 con il Mef, uno dei punti fondamentali è la diversificazione. Nel protocollo è scritto che una Fondazione non deve avere più di un terzo del suo patrimonio investito in un singolo investimento, perché se quell’investimento va male la Fondazione perde il 33% ma salva il 67%.

Ricordiamo che, quando scoppiò il bubbone MPS, Guzzetti prese posizione affermando che, nel caso della fondazione senese, la legge Amato-Ciampi (1990) era stata clamorosamente disattesa. Il tutto (all’epoca) a quasi un quarto di secolo dalla promulgazione di quella legge e tredici anni dopo l’ascesa di Guzzetti alla guida delle fondazioni bancarie italiane. Un vero peccato che sia servito un naufragio epocale come quello per indurre Guzzetti a spingere per un “protocollo” col MEF, ed il MEF medesimo a scoprire che negli investimenti delle fondazioni bancarie c’era un lieve problema di risk mismanagement. Scappati i buoi, si chiude assertivamente la stalla.

Guzzetti ha avuto molti meriti, nella sua irripetibile carriera di banchiere di sistema, ruolo che nel suo caso è stato in assoluta continuità con quello di politico. Viene da dire che oggi non ci sono più banchieri di sistema di razza come è stato lui, e che i suoi apparenti eredi al momento destano qualche perplessità. Ma, al netto dell’agiografia, che in Italia tende a prodursi su basi relative, cioè per confronto con successori assai scadenti, diciamo che i suoi meriti storici sarebbero stati ben altri, in caso fosse riuscito a disinnescare la follia della concentrazione degli investimenti delle fondazioni prima che le bombe atomiche esplodessero.

E poiché in Italia gli errori tendono a riprodursi immutabili, abbiamo in forno un altro piatto avvelenato da eccesso di concentrazione di rischi, quelli su titoli di stato in portafoglio a banche ed assicurazioni. Speriamo che la pressione ambientale, che è esterna e non interna al sistema italiano, riesca a portare ad esiti meno disfunzionali, malgrado le patriottiche resistenze di qualcuno.

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