L’Italia contro la crisi? Ci siamo chiusi a riccio

di Stefano Petroselli – Il Secolo d’Italia – Il Domenicale

Quando criticava le politiche economiche di Prodi, era l’idolo dei blogger di centrodestra. Ora che – «da elettore del Pdl», come specifica lui – critica «per coerenza» le politiche di questa maggioranza, è diventato un “comunista” e un “traditore”. Insomma, secondo Mario Seminerio – economista liberale e blogger, creatore di Phastidio.net – questo paese, stretto fra corporativismi incrociati, battaglie antropologiche e slogan tribali, sta soffocando. Anzi, sta andando dritto dritto «a sbattere contro un muro».

– Tanto per cominciare, che voto dà, in “liberismo”, all’attuale governo?
Il governo ha provato a contenere i danni della fase più acuta della crisi. E l’ha fatto senza dimostrare alcuna voglia di riformare per davvero l’economia di questo paese, senza determinare le condizioni per aumentare in maniera efficace la crescita. Piuttosto ha esaltato strutture e meccanismi che hanno la funzione di conservare l’esistente, mezzi emergenziali e inadeguati a garantire lo sviluppo o a determinare maggiori opportunità. Insomma, nel complesso, direi che l’approccio liberista di questo governo, per quanto mi riguarda è quasi inesistente.

– Ma nel resto d’Europa si sono comportati meglio di noi?
Credo che tutti i paesi stiano rispondendo alla crisi in maniera adattiva, non reattiva. Nessuno ha messo in atto riforme di struttura. Il problema italiano, però, è che noi partiamo da livelli di crescita e di sviluppo strutturalmente più lenti e più deboli di quelli degli altri. E allora avremmo dovuto usare la crisi per mettere in funzione riforme strutturali: liberalizzazione delle professioni, interventi incisivi sui servizi pubblici locali. Invece ci sono stati interventi minimali. E un paese con un debito pubblico come il nostro, non può davvero permetterselo: rischia l’implosione.

– C’è un problema culturale oltre che politico, a monte? Un eccesso di “conservatorismo”, inteso in senso degenere?
Assolutamente sì. Sarà banale dirlo, ma credo che le maggioranze siano davvero l’espressione di un orientamento dell’elettorato. L’Italia, molto più e molto peggio di altri paesi, ha sviluppato un suo modello di corporativismo. I nostri governi tendono sempre a esprimere una sommatoria di istanze corporative. E quando la coperta è corta – come in questi anni – qualunque riforma quel governo tenti di fare, si trova sempre una corporazione “contro”. Una corporazione scontenta, che regolarmente verrà trascinata dall’opposizione (di qualunque colore) nella sua orbita. È un gioco che si ripete regolarmente. Ma è una dinamica non più sostenibile.

– Con questo clima culturale, che riscontro ha avuto sulla rete?
Devo dire che noto un tribalismo estremamente irritante, sulla rete. Mi spiego. Mi ritengo un blogger e un elettore di centrodestra, e durante il governo Prodi ho scritto post molto critici nei confronti delle politiche economiche dell’allora maggioranza di centrosinistra. Tanto da diventare l’idolo di una serie di blogger di centrodestra (molti di loro, malati di “anticomunismo pavloviano”). Negli ultimi tempi invece, per coerenza con me stesso, mi trovo a sollevare critiche a volte anche aspre nei confronti dell’attuale maggioranza. E allora molti di quegli stessi blogger che prima mi adoravano si sono rivoltati contro di me, mi considerano semplicemente un “comunista”. Ecco, è una dinamica bipolare-tribale abbastanza avvilente: non mi è possibile, da una posizione liberale e liberista, tentare di criticare le scelte di una maggioranza che ho votato senza essere accusato di tradimento. “Non sei dei nostri”, mi dicono. Ma che significa “nostri”? Insomma, nel paese c’è un deficit di analisi, tutto è travolto dalla tendenza a polarizzarsi e schierarsi, a comportarsi come crociati, a spacciare per dibattito culturale un urlo continuo. E non si parla dei veri problemi. È desolante.

– Sembra che alcuni temi prima centrali nel dibattito (pensiamo alla pressione fiscale), improvvisamente vengano abbandonati, anche da quegli elettori che ne avevano fatto una bandiera. È così?
Viviamo di spin mediatico: una mattina ci svegliamo e dobbiamo parlare furiosamente di Irap per quattro volte al giorno. Poi basta. Ma per quanto tempo ancora la base elettorale del Pdl dimostrerà questa illimitata apertura di credito? Certo, il problema è anche che abbiamo due coalizioni che si autoalimentano della loro impotenza riformistica, e si reggono sulla paura dell’ “altro”. Mentre stiamo qui a guardare lo specchietto retrovisore, accapigliandoci su temi semplicemente risibili, il mondo va avanti. E noi rischiamo di pagare un conto salatissimo.

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