Movimento dell’Uomo LaQualunque

Si moltiplicano notizie e indiscrezioni sulla titanica impresa di Giuseppe Conte, l’uomo che la provvidenza ha mandato al M5S per guidarne il guado del Mar Marrone, verso approdi moderati ma anche progressisti, in quello che appare l’alfa ma soprattutto l’omega della politica italiana. Un movimento né di destra né di sinistra, come sarebbe piaciuto a Guglielmo Giannini, a forte vocazione populista prima di scoprire che “non è proprio populismo, Ambrogio: è più che altro un languorino”.

Ma anche un movimento che si disse sovranista, ricordando (con lo stesso Conte) che è la stessa costituzione più bella del mondo che contiene all’articolo uno il termine sovranità, e quindi anche sovranismo, per estensione semantica e filologica.

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Ma anche da quella ardita elaborazione è passata un’era geologica, e pochi giorni addietro il noto intellettuale progressista Goffredo Bettini ha battezzato la sua corrente-non-corrente che punta a un bel merger tra Pd e M5S in nome della “alleanza tra forze progressiste e antisovraniste”.

Il fuoco della realtà

Come Icaro si bruciò le ali di cera avvicinandosi al sole, così il nostro MoViMento è stato lavato dal fuoco della realtà, quella che ti prende a calci in culo appena ti distrai un attimo, e che in Italia lavora praticamente H24, con questa classe politica. Ma più che un camaleonte, pare una salamandra.

La realtà ha portato al divorzio dalla Casaleggio Associati e dalle sue teorizzazioni e prassi di democrazia diretta: troppa astrazione, signora mia. All’inizio fu l’Elevato, poi il Direttorio per portare sulla terra il fuoco del medesimo, poi gli scontrini che oddio mi sono scordata di registrarli, i viaggi in autobus per recarsi alla Camera a favore di fotografo, l’ala movimentista e quella pragmatico-istituzionale, il capo politico, il reggente col sospensorio e le sospensive dei tribunali civili della Repubblica. Il contenzioso che tutto contiene.

Sono stati anni esaltanti, lo capite? Forse non del tutto, ma sono fiducioso che ci arriverete. E i recall “come gli americani” per rimuovere un eletto che non soddisfa, le presenze televisive con precetto per il giornalista azzerbinato di turno; niente contraddittori, solo sparring partner duttili e se c’è qualche rompipalle che rompe, chiamate il break pubblicitario e fatelo accomodare fuori con un pretesto ché poi riprendiamo tra noi, siamo amici.

Solo i cretini non cambiano mai idea

Non andiamo in televisione, la stampa ci fa schifo, anzi no, ci andiamo e bivacchiamo serenamente, che alla fine mettiamo anche le mani sul dipartimento dell’editoria, perché “basta soldi pubblici ai giornali” ma sino a un certo punto, ché ci può pure tornare utile.

E i mandati? Per il resto del mondo vogliamo quelli di cattura, per noi sono due ma forse anche quello zero, più pre-riscaldamento, il giro lanciato, le pre-qualifiche. E ora, con Giuseppe Conte, quell’uno che non vale uno, magari derogheremo alla regola ma solo un po’, come le gravidanze parziali.

Magari oltre i due mandati ma solo per “merito”. E chi lo decide, quel “merito”? Vedremo, non siate pedanti ché qui si fa la storia. E non pensate neppure per un attimo che si tratti di resistenza castale da parte di gente che ha ancora tanto da dire e dare alla cosa pubblica.

L’Opa Pd

Qui però mi corre obbligo di sforzarmi di comprendere per quale mistero del creato il Partito democratico abbia deciso di prendere per mano questo gruppo di soggetti e tentare di assimilarli con gentilezza e dolcezza. Intanto, per i numeri, stupido!, diranno i più vocati tra voi in metodi quantitativi. Con questa destra che marcia divisa per marcire unita appena approda a Palazzo, non ci sono alternative a creare un cartellino di progressisti, veri, presunti, sedicenti e figuranti.

Il mite Enrico Letta si dichiara contento se il M5S dovesse ribadire la propria collocazione “né di destra né di sinistra, perché così io e Conte non ci faremo sgambetti”, non essendo identici. Che non fa una grinza, a ben vedere. Proprio come un lifting ben riuscito, sperando che alla fine sia ancora possibile ridere senza lacerarsi dietro le orecchie.

E Conte medesimo a ribadire che il nuovo movimento “è una forza politica senz’altro di sinistra, perché c’è scritto qui, sullo Zingarelli (che non è il fratello colto di Zingaretti): la destra è conservatrice, quindi conserva, noi invece innoviamo quindi non siamo di destra. Augh. Quelli tra voi più abili nelle letture analogiche in era digitale avranno ritrovato in questo passo l’abilità semantico-filologica del Conte che diceva che essere sovranista e populista era scritto in costituzione. E dopo Farage, i gilet gialli, Macron e i verdi, ecco finalmente l’approdo socialista. Ma non troppo, mi raccomando. Un giorno vi diranno che in Portogallo c’è un partito di centrodestra che si chiama socialdemocratico, e avranno ragione loro.

Quante divisioni ha Conte?

Ma io continuo a chiedermi: la dirigenza del Pd, presente e passata, che ha sviluppato questo progetto-Zelig, un po’ camaleonte un po’ cabaret, sul M5S o qualunque cosa ciò sia, avrà commissionato dei sondaggi per comprendere quanto vale questo fregolismo della degradata politica italiana, giusto?

Voglio dire, quante divisioni ha Conte? Gli elettori pentastellati della prima e della seconda ora sono sempre quei personaggi guareschiani sempre pronti a esibire “obbedienza, cieca, pronta, assoluta”?

Perché, se le cose stanno così, l’operazione ha senso e conferma la miseranda condizione del dibattito pubblico italiano. Gli elettori come i correntisti delle banche comprate, che cedono parte degli sportelli a un terzo istituto. Per inerzia e abitudine, tendono a rimanere nella loro filiale, anche se le insegne sono cambiate.

Ma se le cose non stanno in questi termini, e se alla fine il Pd scoprisse di aver lanciato un’Opa su un’azienda di eccellenza un attimo prima dell’arrivo di ufficiale giudiziario e commissario liquidatore, allora il ridicolo sarebbe tutto e solo per gli strateghi del Nazareno. Ma questo è tema laterale rispetto alla fenomenologia del Movimento dell’Uomo Laqualunque, che ha accompagnato questi anni di declino italiano, rinverdendo i fasti di Monicelli e Dino Risi.

Foto di Ralph Klein da Pixabay

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