Ieri i mercati dei titoli di stato europei si sono svegliati di pessimo umore. Dopo i commenti in conferenza stampa di Christine Lagarde, ormai quasi abbonata a compiere gaffes che devono in seguito essere corrette, con fatica. Sempre che di gaffes si tratti. Dopo essersi espressa in termini non troppo lineari, del tipo “siamo molto preoccupati per questa inflazione ma siamo tranquilli”, e aver rifiutato di escludere che nel 2022 la Bce procederà al primo rialzo dei tassi, la francese ha aggiunto che la Bce ha gli strumenti per gestire eventuali allargamenti degli spread. Che non è chiaro cosa significhi, operativamente, visto che di mezzo c’è un dettaglio chiamato rischio di credito.
Un concetto pronunciato da colei che aveva praticamente esordito al timone dell’Eurotower con altra frase destinata a finire nella galleria dei danni, “non siamo qui per chiudere gli spread”, che sembra quasi mutuata dal bersanese, tra mucche in corridoio, bambole da pettinare e scogli da asciugare.
Staccare il piede dall’acceleratore
Come che sia, durante il fine settimana il governatore della banca centrale olandese, Klaas Knot, aveva preso posizione prevedendo (cioè chiedendo) un primo rialzo dei tassi nel quarto trimestre di quest’anno. Ma soprattutto chiedendo preliminarmente la rapida conclusione degli acquisti di titoli da parte della Bce.
Da marzo, termine del programma di acquisti pandemico (PEPP), si torna a quello pre-pandemia, detto APP, con 40 miliardi al mese nel secondo trimestre, 30 nel terzo e tornando a 20 miliardi al mese nell’ultimo trimestre del 2022, ma senza mettere fine al programma, che resta “aperto”. E reinvestendo cedole e rimborsi dei titoli comprati con il PEPP almeno sino al 2024.
“Per toccare il freno bisogna prima togliere il piede dall’acceleratore”, ha scolpito l’olandese dando prova di quel senso comune che ormai è evaporato un po’ ovunque. Ovvio che i mercati andassero a punire i paesi con maggiore indebitamento, segnatamente l’Italia, che peraltro ha anche un mercato dei titoli di stato molto liquido, usato dagli investitori per scommettere su tendenze più generali sui tassi in Eurozona, nei due sensi. E quindi, ieri lo spread ha toccato i 163 punti-base.
Lo scrivo da tempo immemore: l’Italia è un asset ad alto beta, cioè alto rischio e rendimento. Quando sui mercati c’è propensione al rischio, i nostri Btp sono ricercati. All’opposto, sono scaricati. Come accade a un paese emergente. Non c’è alcun complotto, credetemi.
Bce idrovora di Btp
Piuttosto, a nessuno ormai sfugge che la Bce è stata, in questi anni e soprattutto negli ultimi due, il compratore decisivo del nostro debito pubblico. L’azione di Francoforte ha accomodato i deficit dei paesi dell’Eurozona durante la pandemia, soprattutto il nostro. Consentendo alla nostra politica di credere che fossimo entrati nell’Era della Stampante. Pare non sia così, peccato.
Ma come, diranno i più smagati o maliziosi tra voi, quindi Draghi non ci protegge più? Draghi, da presidente della Bce, ha evitato che il nostro paese facesse il botto. Da premier, in molti hanno creduto potesse giocare un ruolo altrettanto decisivo, a pandemia alle spalle, per modificare il patto di stabilità e crescita.
Sarà molto probabilmente così ma serve capirsi sul senso delle parole e dei concetti. Se “ruolo decisivo” vuol dire che Draghi deve ottenere che la Bce raccolga tutto il deficit italiano permettendo ai nostri politici e sindacalisti di stare sdraiati sul triclinio a suonare la lira (o meglio, l’euro), duole deludervi: Draghi non può farlo né riesce a camminare sulle acque.
Osservate questo grafico, postato su Twitter dal macro strategist nonché ECB watcher di Pictet, Frederik Ducrozet:

Vedete gli istogrammi? In soldoni, si legge così: nel 2020-21, la Bce ha comprato ben oltre il 100% del debito pubblico centrale italiano emesso nel periodo. Nel 2022 scenderà al 60%, nel 2023 è previsto giungerà a zero. L’essenza del problema è tutta lì. Chi sarà il compratore “marginale” del debito pubblico italiano, da qui in avanti? Dove “marginale” non significa “trascurabile” ma esattamente il suo opposto.
L’inflazione cura se stessa, forse
Ieri Lagarde ha lavorato di estintore ma la sostanza non cambia. Né cambia di fronte alla nuova canzoncina che sempre più spesso vedo intonata da politici e giornalisti italiani: “alzare i tassi non farà scendere il prezzo dell’energia né velocizzerà i container“. Vero ma solo in parte. Ma viene un momento in cui serve comportarsi da adulti.
L’inflazione cura se stessa, nel senso che distrugge la domanda. E questo è un fatto della vita. Se però la politica chiede sussidi a deficit per compensare il costo dell’energia oltre il minimo necessario per tutelare le famiglie in condizioni economiche più disagiate, sta chiedendo di iniettare stimoli nell’economia proprio nel momento in cui i prezzi sono elevati, quindi prolungando nel tempo la pressione inflazionistica.
Se bisogna evitare di commettere errori e stringere la politica monetaria precocemente, bisogna anche essere consapevoli che la posizione fiscale in Eurozona resta molto espansiva, e quella monetaria pure. E probabilmente, dico probabilmente, questo è un disequilibrio. Per toccare il pedale del freno bisogna prima staccare il piede dall’acceleratore, ricordate?
Allora, il punto della questione non è che Draghi non sappia camminare sulle acque e portarci a casa nuovi acquisti della Bce per accomodare i nostri deficit. Il punto è tornare a crescere in modo equilibrato e autosostenibile. Sempre che sia possibile farlo, con mercati che non aspettano altro che di scaricare il nostro debito appena sarà evidente che la rete di protezione è stata tolta oppure ha un grosso buco. Poi, se qualcuno ricorda, questo governo nel 2022 ha ecceduto in spesa corrente. Bene ma non benissimo.
Lagarde e altri problemi nostrani
Nel corso del tempo potremmo arrivare a scoprire che Draghi, in questo decennio, ha solo rimandato l’inevitabile, per il nostro paese. Quanto a Lagarde, ribadisco il concetto: non ha competenze nel ruolo, è un personaggio politico globale ed è lì anche per “meriti” di genere. Il disastro fatto durante la sua direzione generale del FMI con l’Argentina, quando concesse tonnellate di debito a un paese che era insolvente, testimonia della sua dimensione politica.
Se tu sentenzi “se gli spread si allargheranno, abbiamo gli strumenti per gestirlo”, stai disegnando un mirino in fronte al malcapitato debitore di turno. Incredibile arrivare a questa età e a questo stadio del proprio cursus honorum senza aver preso lezioni di base della psicologia dei mercati. Eppure questo abbiamo. Dovremo conviverci. Evitando di cadere nel nostro abituale vittimismo che vede ovunque complotti o che scade nel magnificare le doti taumaturgiche del risparmio privato italiano, inteso come garante del nostro dissesto.
Photo by European Central Bank on Flickr