La maieutica del programma

Fine settimana di interessanti esternazioni per Romano Prodi. Tra il workshop Ambrosetti di Cernobbio e la Festa dell’Unità di Milano, il Professore ha compiuto qualche timido passo avanti verso l’agognato disvelamento del programma unionista. Proviamo a spigolare in ordine sparso: dapprima, rispondendo a Berlusconi, che aveva detto che in caso di sconfitta avrebbe prenotato un bel giro in barca a Tahiti, Prodi afferma che lui la barca non ce l’ha. In attesa di essere imbarcato da D’Alema, che pure nel 1998 lo aveva più propriamente sbarcato, il Professore si lancia nell’abituale tirata moralistica sui costi della politica, proprio mentre in quel momento, parecchie centinaia di chilometri più a sud, il “figlio prediletto del Mezzogiorno” (al secolo Clemente Mastella), suo cosiddetto partner di coalizione, afferma che il tir giallo di Prodi, utilizzato per le primarie, non è un bel messaggio rispetto all’esigenza di ridurre i costi della politica.

Poi, Prodi esclude riforme concordate tra maggioranza ed opposizione: “Quale è il paese del mondo in cui maggioranza ed opposizione fanno riforme condivise? Non succede da nessuna parte, tranne casi limitati e speciali, o quando la nazione rischia. La democrazia è alternanza”. Giusto. Ci chiediamo a quale delle categorie citate da Prodi appartenga la riforma costituzionale federalista della CdL, che del resto fa seguito alla riforma del Titolo V della costituzione, compiuta a maggioranza dal centrosinistra nella scorsa legislatura.

Il Professore passa poi a delineare una bozza di programma economico. Il solito riferimento obbligato ai “sacrifici”, ed alla necessità di muoversi contemporaneamente in direzione di risanamento e rilancio. Quindi, sì all’alleggerimento del costo del lavoro per le imprese, alla riduzione dei costi burocratici per la creazione d’impresa, ma anche alla liberalizzazione dei mercati della distribuzione, “dai supermercati alle farmacie, alle libere professioni”. Questa parte è ovviamente condivisibile. Interessante poi è la precisazione sulla legge Biagi, che Prodi non ritiene di dover cancellare sic et simpliciter, come invece vorrebbe l’ala comunista della sua coalizione. Per finanziare tutto questo riformismo, ecco l’originale suggerimento della ormai leggendaria lotta all’evasione fiscale, che si risolverà nell’ennesima tosatura ai danni della classe media, i famosi “ricchi” di bertinottiana memoria, quelli che hanno un reddito annuo di addirittura 50.000 euro. Altro distinguo di rilievo è quello sull’Iraq: Prodi parla di fissare un calendario di uscita, ma non parla di fuga in stampo zapaterista, senza se e senza ma. Reiterato il solito mantra sul piano di rinascita civile e materiale del paese, forse da negoziare con i tagliagole, oppure suggerendo la balzana idea di truppe d’occupazione dai paesi (sunniti) della regione, che condurrebbe in breve tempo ad una sanguinosa guerra civile con gli sciiti armati da Teheran. Possiamo solo sperare che il Professore abbia chiaro il concetto che in Iraq un governo democraticamente eletto esiste già.

In breve: il libro dei sogni è aperto, si tratta solo di afferrare una penna ed iniziare a scrivere. In attesa che la sinistra comunista suoni la sveglia.

P.S. A quanti si dicono assolutamente certi della necessità di avere una stampa libera ed indipendente, segnaliamo i due “moderatori” del soliloquio milanese: Michele Santoro e Bianca Berlinguer. Due autentici watchdog della libera stampa, impegnati (soprattutto la Berlinguer) a spellarsi le mani ad ogni banalità proferita da Prodi o Fassino. Nel loro futuro, dovessero andar male le cose, resta la possibilità di fare i presidenti di “garanzia” del servizio pubblico radiotelevisivo, seguendo le orme di Lucia Annunziata, che nel 1996 appariva trionfante sul palco diessino dopo le elezioni, al fianco del Lider Massimo, nel coerente tribalismo che rappresenta l’unico vero tratto culturale condiviso dagli italiani.

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