La fallacia dell’austera crociata

Su NoiseFromAmerika, le argomentazioni di Alberto Bisin sulla desiderabilità (o meglio, sulla non indesiderabilità) di politiche di riaggiustamento fiscale anche durante una recessione. Chi afferma il contrario ricade in un caso di fallacia logica, sostiene Bisin. E sul punto specifico, oltre che su alcuni altri, ha perfettamente ragione in linea teorica, ma perde di vista specificità e gravità della situazione attuale (che è una crisi finanziaria e non una recessione da libro di testo), oltre a focalizzarsi eccessivamente sull’Italia, per motivazioni più che comprensibili.

Scrive Bisin:

«(…) al di la’ della rozza analisi keynesiana spesa pubblica e imposizione fiscale hanno effetti quantitativamente diversi, cosi’ come diversi tipi di spesa pubblica hanno effetti diversi. Ma comunque la si rigiri, e per quanto piu’ complesse, sottili, intelligenti, siano questi  schemi concettuali, una politica di austerita’ fiscale – almeno nel breve periodo – deprime l’attivita’ economica. E deprimere l’attivita’ economica quando essa e’ gia depressa (in una recessione) fa piu’ male. Il buon senso impera anche nelle menti dei piu’ sofisticati tra noi (economisti)»

E fin qui ci siamo anche noi, che non siamo economisti né sofisticati. E’ confortante che Alberto “conceda” che una politica di austerità fiscale sia nel breve periodo depressiva dell’attività economica. Inoltre, posto che siamo tutti o quasi d’accordo sul fatto che ulteriori aumenti di imposizione finiranno con l’ammazzare il paziente, sarebbe stato meglio rimuovere l’ambiguità linguistica sottostante al concetto di aggiustamento “fiscale”, e specificare che anche tagli di spesa, nel breve-medio termine, hanno effetti depressivi sulla crescita se destinati a colmare deficit e non a ridurre le imposte, ma siamo fiduciosi che arriveremo anche a questo traguardo, in un prossimo futuro.

Prosegue Bisin, per dimostrare la tesi:

«Lo scivolone logico sta nell’assumere che l’affermazione che politiche di austerita’ peggiorino la recessione implichi  che esse non siano desiderabili. E’ uno scivolone che potrebbe infatti darsi il caso che le altre politiche non siano implementabili o siano ancora peggio. Et voila’, la forza della logica»

Non fa una grinza, francesismo incluso. Segue valutazione delle politiche “alternative” all’austerità qui ed ora. Escludiamo subito quelle che Alberto definisce giustamente “stupidaggini” quali l’uscita dall’euro (a meno, aggiungiamo noi, di giungere ad una dissoluzione definitiva, collettiva ed “ordinata” della moneta unica, cioè paradossalmente assistita dalle autorità politiche e monetarie europee, e forse neppure in quel caso, a dirla tutta), o le bislacche idee della Modern Monetary Theory sulla stampa illimitata e non inflazionistica di moneta. Su quest’ultimo punto, è evidente che una monetizzazione diretta dei deficit pubblici, con relativa perdita di autonomia della banca centrale, finirebbe col creare fenomeni inflazionistici ed iperinflazionistici. Ma se ci troviamo in una situazione di crisi finanziaria e siamo allo zero lower bound (sperando che Bisin accetti la definizione e la realtà, e non la trovi invece frutto della rozzezza keynesiana), va da sé che, senza un’azione monetaria espansiva non convenzionale, il moltiplicatore fiscale tende ad innalzarsi ferocemente, con risultati dell’austerità che sono sotto gli occhi di tutti. Quindi, no a letture “sciocche” e folcloristiche dell’azione della banca centrale ma almeno prendiamo atto che, qui ed ora, senza azione delle banche centrali si finisce nei guai e nella deflazione, non certo nell’inflazione.

La critica di Bisin a chi stigmatizza la “cattiveria” dei tedeschi è invece piuttosto superficiale, e probabile frutto della fascinazione che coglie quanti (soprattutto ma non esclusivamente dentro Fermare il declino) pensano che solo una dose di tough love o più propriamente una robusta dose di “mezzi di correzione” possa raddrizzare le gambe al cane italiano. E questa è visione altrettanto fallace, oltre a non cogliere i marchiani errori metodologici dei tedeschi, che credono che diciassette paesi possano diventare una Germania, ed esportare a manetta in giro per il mondo. I fatti stanno dimostrando che ciò non sta accadendo,  perché la riduzione dei deficit delle partite correnti sta producendosi per via di deflazione e distruzione dell’import, di cui gli stessi tedeschi finiranno per essere vittime, di questo passo.

Riguardo i due aspetti di fallacia della tesi secondo cui il riaggiustamento fiscale in recessione è indesiderabile, Bisin argomenta:

«La recessione non e’ necessariamente esogena (non viene dal cielo) – non e’ affatto detto che l’austerita’, per quando dolorosa, non sia necessaria a farla terminare. Se fosse cosi’, aspettare ad intervenire allungherebbe la recessione. Ed in parte lo e’ certamente cosi’, in Italia, oggi: la stretta e’ determinata dai mercati che temono della solvibilita’ futura del paese; l’austerita’ serve a convincerli ad allentare la presa (questo punto e’ importante perche’ suggerisce che non tutta l’austerita’ e’ uguale – in un paese come l’Italia la solvibilita’ si garantisce con riduzioni di spesa e non aumenti di tasse perche’ le tasse sono alte e raccolte inefficientemente e la spesa spaventosamente inefficiente)»

E qui siamo in nettissimo dissenso da Bisin, noi e la realtà. Intanto, i mercati non temono esattamente per la solvibilità futura del paese quanto per la possibilità che l’euro si rompa e si giunga al ritorno alla valuta nazionale. E’ il cosiddetto “rischio di convertibilità” di cui parla da tempo Mario Draghi. Circa il fatto che non tutta l’austerità è uguale e che se si facesse l’aggiustamento solo dal lato della spesa e non delle entrate il paese sarebbe premiato, permetteteci di dire che manca il controfattuale e che si tratta di un wishful thinking “ideologico”. Se Bisin (e non solo lui) guardasse al resto dei paesi in crisi in Eurozona (ché non siamo soli in questa situazione, a dire il vero), scoprirebbe che ad oggi non ce n’è uno in cui l’austerità “lato spesa” sia risultata premiante. Neppure nel “virtuoso” Portogallo, il paese che più ha agito finora dal lato delle spese, sino al punto da annullare gli stabilizzatori automatici, trovarsi nuovi buchi di bilancio ed essere costretto, con l’ultima manovra, ad agire pesantemente dal lato delle entrate. Evidentemente, in tutta Europa i governi ed i parlamenti non riescono proprio a seguire i sani precetti della teoria economica. Che sia un fastidioso effetto collaterale della democrazia? La verità è che, se è vitale evitare nuovi aumenti di pressione fiscale, è parimenti vero che tagli di spesa sono e restano depressivi nel breve-medio termine, se usati per ridurre i buchi di bilancio e non per ridurre l’imposizione fiscale. Che serva davvero il sogno di Penati, per uscirne?

Secondo elemento di critica di Bisin è quello della incoerenza temporale della politica economica:

«La tendenza a procrastinare e’ una proprieta’ della poltica economica (ha un nome nella teoria economica, “incoerenza temporale della politica economica”) che dipende dalla struttura politica ed istituzionale. La struttura istituzionale italiana e’ tale per cui questa propensione e’ massima e il debito ne e’ un mastodontico effetto. In altre parole, la politica economica in Italia e’ particolarmente incoerente (nel senso di cui sopra), cioe’ piegata ai volubili interessi del momento, con minima attenzione agli interessi di medio-lungo periodo»

Questo è verissimo in linea generale, come scriviamo da sempre su questi pixel (gli amici di nFA si rassicurino, non sono gli unici profeti a predicare nel deserto). Ma questo non toglie che, in questa congiuntura, esistano gravi controindicazioni ad applicare strette fiscali “front loaded” e questo ormai lo riconosce anche il FMI, che da tempo supplica l’Eurozona di rinunciare a caricare la stretta fiscale nel breve periodo, visto che i risultati sono sotto gli occhi di tutti, o quasi. E’ ovvio e comprensibile che ci sia un enorme problema di credibilità ed incoerenza temporale della politica economica, soprattutto nel nostro ridicolo paese, ma attendere che la Fata Fiducia agisca, instillando ottimismo in un sistema economico dopo averlo distrutto, appare piuttosto surreale. Anche per questo servirebbe un sistema comunitario in grado di rendere credibile l’aggiustamento differito.

Quanto al resto dell’analisi di Bisin, essa appare troppo centrata sulla “monade Italia”, e priva di quegli elementi sistemici che oggi impediscono ad un paese di uscirne da solo, con o senza le misure di austerità “giusta”. Non si analizza quanto e come il credit crunch di sistemi bancari messi in ginocchio da recessione e sofferenze entri nell’equazione economica (e, quando lo si fa, ci si limita ad invocare “lo straniero” che ricapitalizzi, ignorando che finché esiste rischio di fuoriuscita dall’euro e dati economici di tale negatività nessuno metterà un euro nelle banche, perché il sistema è frantumato), non si analizza la deriva greca degli altri paesi europei (che dipende dalle stesse identiche criticità sistemiche, cioè più grandi delle singole realtà nazionali), non si considera neppure tangenzialmente che strette fiscali simultanee determinano una amplificazione dell’impulso depressivo. In un simile contesto è altrettanto fallace invocare esempi eclatanti di austerità espansiva, che si sono svolti in ben altre condizioni di contesto globale.

Si tratta, quindi, di una analisi del tutto incompleta, e funzionale esclusivamente alla tesi “politica” sottostante: come risanare l’Italia in modo durevole, senza se e senza ma. Ma con queste omissioni (che di fatto ipersemplificano e negano la complessità della realtà attuale) non si fa un bel servizio a chi persegue lo stesso obiettivo. L’austerità, in una crisi finanziaria come l’attuale (che non è una classica recessione ma qualcosa di molto peggio), porta effettivamente alla fine della crisi. Con una serie di default, pubblici e privati, con effetti simili ad un fallout radioattivo. Quindi, ostinarsi a chiedere austerità senza se e senza ma in questo contesto ricorda molto quello che, durante la crociata albigese, il legato pontificio disse prima dell’assalto ad una chiesa in cui si erano rifugiati degli eretici, mischiandosi ai fedeli: “uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi”.

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